1. – La pronunzia del Tribunale arbitrale di cui il 2 luglio scorso è stato pubblicato il dispositivo, unitamente alle conclusioni delle parti , costituisce l’ennesimo tassello della lunga vicenda giudiziaria e diplomatica conseguente all’incidente del 15 febbraio 2012, verificatosi nelle acque prospicienti le coste del Kerala, Stato membro della Confederazione Indiana, in cui avevano trovato la morte due soggetti imbarcati sul peschereccio St. Anthony, che, peraltro navigava senza esporre alcuna bandiera (per il contesto generale, e anche per ulteriori riferimenti, cfr. S. ZUNARELLI, M. M. COMENALE PINTO, Manuale di diritto della navigazione e dei trasporti, I, ed. IV, Milano, 2020, 190 s.).
La morte di tali soggetti era stata ricondotta all’azione di personale dei nuclei militari di protezione a bordo della nave di bandiera italiana «Enrica Lexie», che avevano esploso alcuni colpi con le armi in dotazione, con il fine di sventare un presunto tentativo di azione violenta. Tali militari, appartenenti alla Brigata San Marco della Marina Militare, erano imbarcati sulla base del Protocollo di intesa concluso tra Ministero della difesa e Confederazione italiana armatori (Confitarma) l’11 ottobre 2011 (pubblicato, con allegato ed addendum, in Riv. dir. nav., 2011, 987), sulla base del testo allora in vigore del d. l. 12 luglio 2011 n. 107, come convertito con l. 2 agosto 2011 n. 130 (per le relative problematiche, v. U. LA TORRE, Sicurezza della nave e difesa dalla pirateria, ivi, 617).
Le autorità del Kerala avevano indotto la nave a fare rientro nel porto di Kochi, prospettando la necessità di identificare individui sospettati di essere i responsabili dell’attacco subito; una volta attraccata la nave, invece, la polizia del Kerala aveva perseguito come responsabili di omicidio, per la morte dei soggetti deceduti sul peschereccio «St. Anthony» due dei militari del nucleo militare di protezione. L’incidente alla base della vicenda si era verificato certamente fuori dalle acque territoriali indiane; nella zona contigua o nella zona economica esclusiva.
Già il dispositivo di per sé appare di grande interesse e stimola alcune considerazioni preliminari.
2. – Al di là della valutazione del merito, è sorta contestazione sia con riferimento alla giurisdizione, sia all’immunità funzionale invocata dall’Italia per i propri militari coinvolti nella vicenda. Sul punto, era intervenuto la pronunzia della Corte Suprema Indiana del 18 gennaio 2013 (in Riv. dir. nav., 2013, 1076), che aveva escluso che uno Stato federato (e nella specie il Kerala) potesse esercitare la propria giurisdizione penale su fatti verificatisi nella zona contigua indiana, ancorché prospiciente le proprie coste. Viceversa, la Corte Suprema Indiana, con la medesima pronunzia, aveva ritenuto sussistente la giurisdizione penale della Federazione Indiana, escludendo sul punto la rilevanza dell’art. 97 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 1982, dettato in tema di «collision or any other incident of navigation concerning a ship on the high seas, involving the penal or disciplinary responsibility of the master or of any other person in the service of the ship», e non riconoscendo (anzi ignorando) la questione dell’immunità invocata per i militari imputati, perseguiti in conseguenza di atti posti in essere nell’ambito della propria attività di servizio (v. i rilievi critici di F. MUNARI, Giurisdizione degli stati in caso di delitti compiuti al di fuori del mare territoriale: spunti di riflessione tratti dal caso Enrica Lexie deciso dalla Corte suprema indiana, in Dir. mar., 2013, 259; con riferimento specifico alla questione dell’immunità, cfr. F. LICATA, Diritto internazionale, immunità, giurisdizione concorrente, diritti umani: le questioni aperte nel caso dei marò e la posizione della Corte Suprema Indiana, in Dir. pen. contemp., 2013. V. anche P. BUSCO, F. FONTANELLI, Questioni di giurisdizione e immunità nella vicenda della Enrica Lexie, alla luce del diritto internazionale, in Dir. pen. contemp., 2013).
3. – L’esercizio della giurisdizione indiana è stato costantemente contestato, finché, constatata l’impossibilità di raggiungere una soluzione diplomatica, il 26 giugno 2015, previa richiesta al Tribunale Internazionale per il diritto del mare di adozione di misure cautelari, ai sensi dell’art. 290, § 5 della Convenzione di Montego Bay, l’Italia ha promosso una procedura arbitrale ai sensi della Parte XV, Sezione II, della medesima Convenzione di Montego Bay, conformemente all’Allegato VII della stessa (sull’iter seguito per la costituzione del Tribunale arbitrale, cfr. A. DEL VECCHIO, Il ricorso all’arbitrato obbligatorio UNCLOS nella vicenda dell’Enrica Lexie, in Riv. dir. int. priv. proc., 2015, 259; E. PERROTTA, Il caso Enrica Lexie e la tutela cautelare dei diritti individuali nelle pronunce del Tribunale internazionale per il diritto del mare e dell’Annex VII Arbitral Tribunal: tra inherent powers e human rights approach, in Pol. diritto, 2016, 279). Il Tribunale Internazionale per il diritto del mare ha adottato due ordinanze, rispettivamente in data 24 agosto 2015 e in data 29 aprile 2016, con le quali ha affermato l’obbligo per entrambi gli Stati coinvolti di sospendere i procedimenti giudiziari in corso nei rispettivi ordinamenti e ha stabilito le condizioni della libertà su cauzione di uno dei due militari coinvolti nella vicenda (per un commento a tali provvedimenti, cfr. A. CANNONE, Le misure provvisorie adottate nell’affare della Enrica Lexie, in Dir. mar., 208, 293; L. SCHIANO DI PEPE, Provisional Measures in the Enrica Lexie (Italy v. India) Case: A Tale of Two Orders, in Dir. mar., 2017, 423; R. VIRZO, Le misure cautelari nell’affare dell’Incidente della Enrica Lexie, in Osservatorio costituzionale, 21 ottobre 2016. Sulla prima, in ordine cronologico, v. A. CANNONE, L’ordinanza del Tribunale internazionale del diritto del mare sulla vicenda della Enrica Lexie, in Riv. dir. internaz., 2015, 1144).
4. – Il Tribunale arbitrale, con la decisione di cui è stato anticipato il dispositivo, ha escluso la correttezza della lettura estensiva della previsione in tema di giurisdizione penale di cui all’art. 97 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, dettata in tema di collisioni ed altri incidenti in alto mare («[i]n the event of a collision or any other incident of navigation concerning a ship on the high sea», che riprende il principio dettato dall’art. 1 della Convenzione di Bruxelles del 10 maggio 1952 sulla competenza penale in materia di collisioni ed altri incidenti in mare, adottata per superare le incertezze a suo tempo determinate dalla nota e criticata decisione della Corte permanente di giustizia internazionale del 7 settembre 1927 nel caso «Lotus» fra Francia e Turchia, che aveva invece escluso la ricorrenza di una norma consuetudinaria che attribuisse la giurisdizione allo Stato della bandiera (cfr. N. FOUGERON, La compétence pénale en matière d’abordage en haute mer, in ADMO, 2015, 157, A. GIANNINI, Le Convenzioni di Bruxelles 1952 di diritto marittimo, in Riv. dir. nav., 1952, I, 207; M. ODDINI, La Convenzione di Bruxelles del 10 maggio 1952 sulla competenza penale in materia di urto di navi, in questa Dir. mar., 1953, 3) (dispositivo, lett. B, punto 1.c).
Nel caso in esame, viceversa, il Tribunale arbitrale ha riconosciuto, a maggioranza, che dovesse essere riconosciuta l’immunità dei due militari italiani rispetto alle azioni che avrebbero posto in essere il 15 febbraio 2012, e che, conseguentemente fosse precluso all’India l’esercizio della giurisdizione dispositivo, lett. B, punto 6.b).
5. – In conseguenza di quanto si è visto più sopra, acclarata la giurisdizione italiana, si pone un’altra questione, sul piano del diritto interno, in relazione alla individuazione dell’Autorità giudiziaria che debba procedere. Occorre tener conto della natura del reato che debba essere contesto e del quadro in cui sarebbe stato commesso.
I fatti in questione si sono svolti nell’ambito di un’operazione militare armata svolta all’estero dalle forze armate italiane, come tale inquadrata dal d.l. 12 luglio 2011, n. 107, cit. (cfr., in particolare, art. 5, nel testo allora vigente, nell’ambito del capo II, intestato «Missioni internazionali delle forze armate e di polizia»).
L’art. 165 c.p. mil.g., nel testo vigente, prevede la applicazione della legge penale militare di guerra non solo per i conflitti armati, ma anche per le «operazioni militari armate svolte all’estero dalle forze armate italiane», «[i]n attesa dell’emanazione di una normativa che disciplini organicamente la materia» (terzo comma). Tale testo è il frutto della novella operata con la l. 31 gennaio 2002, n. 6 e la l. 27 febbraio 2002, n. 15, nell’ottica di «adeguare alle contingenti esigenze operative almeno i settori essenziali del vecchio e desueto codice di guerra» (così, testualmente: M. DE PAOLIS, Sull’applicazione dei codici penali militari di guerra e di pace nelle operazioni militari all’estero, in Missioni militari all’estero e principi costituzionali, Napoli, 2017, 125, ivi, 127). In tale contesto normativo, nella misura in cui dovesse essere ritenuto contestabile il reato previsto e punito dall’art. 185 c.p. mil.g., la questione ricadrebbe nell’ambito della giurisdizione militare.
Si noti, incidentalmente, come del resto è desumibile dalla sua formulazione, che il nuovo testo dell’art. 165 c.p.m.g. avrebbe dovuto costituire una soluzione provvisoria, per dare un quadro normativo comunque adeguato alla stagione di missioni di militari all’estero che si prospettava dopo gli attacchi terroristici del 2001, in attesa della prospettata adozione di un codice penale delle missioni militari all’estero. In realtà è seguita la l. 21 luglio 2016, n. 145 («Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali»), il cui art. 19 (unico, nell’ambito del Capo IV, intestato alle «Disposizioni penali»), al comma 1 afferma l’applicabilità del codice penale militare di pace, salva diversa decisione del Governo, in conformità del successivo comma 2. Inoltre, lo stesso art. 19, comma 1, prevede ancora con disposizione tranchante che «La competenza è del tribunale militare di Roma».
6. – Tornando agli aspetti più strettamente navigazionistici, va posto in luce che la pronunzia del Tribunale arbitrale abbia comunque escluso la violazione da parte dell’India dei principi in materia di libertà di navigazione di cui all’art. 87, lett. a, e di posizione giuridica delle navi in alto mare, di cui all’art. 92 conv. Montego Bay, nonché dei doveri di leale collaborazione nel contrasto alla pirateria, di cui all’art. 100 della medesima convenzione dispositivo, lett. B, punto 1).
Viceversa, per quanto riguarda la posizione dell’Italia, il Tribunale arbitrale, mentre ha escluso la violazione delle prerogative dell’India nella propria zona economica esclusiva, di cui all’art. 56 e 58, § 3, conv. Montego Bay, e comunque dell’uso esclusivo pacifico dell’alto mare, di cui all’art. 88 conv. Montego Bay dispositivo, lett. B, punto 4). All’unanimità, il Tribunale arbitrale ha riconosciuto, invece, la violazione da parte dell’Italia dei principi di cui all’art. 87, § 1 e 90 conv. Montego Bay in tema di libertà dell’alto mare e di liberà di navigazione, con riferimento alla «interference» con la navigazione del peschereccio su cui si trovavano le persone decedute a causa della vicenda (dispositivo, lett. B, punto 5) e che da ciò scaturisca il diritto dell’India ad ottenere un «payment of compensation in connection with loss of life, physical harm, material damage to property (including to the “St. Antony”) and moral harm suffered by the captain and other crew members of the “St. Antony”, which by its nature cannot be made good through restitution» (dispositivo, lett. B, punto 6.b).
Michele M. Comenale Pinto